mercoledì 1 aprile 2020

quattro


4.
Che poi tutti i miei ricordi di infanzia girano intorno a lui. Dicono che il primo amore non si scordi mai, dicono poi che anche se vi siete lasciati per motivi validi, prima o poi si torni sempre a quella storia e si sfolla la memoria e... La pioggia sul lago.
L’acqua che si mischia all’acqua, un tutt’uno. Come fai ad avere paura della pioggia quando ti scivola addosso e tu per quell’istante ti senti lui e anche se siete lontani finalmente siete vicini. Ricercarsi nei ricordi, ritrovarsi in un istante rivissuto. Mi ricordo quando passeggiavamo lungo la riva del lago, mi ricordo le gocce che si univano alla superficie e mi chiedevo sempre dove andassero a finire, se quelle gocce scendessero per le profondità o diventassero la superficie stessa. Avrei voluto osservarlo per molto più tempo, avrei voluto avere più tempo da passare seduta li, ma sono stata lì solo sette anni. I miei primi sette anni in quella città dimenticata. Con le strade fatte di terriccio, come mi rotolavo tra terra erba e sabbia... Come erano belle le piccole gambe vestite di quella terra. Come sono stupidamente pulita ora, così falsamente profumata di odori artificiali. A che serve diventare più alti se tanto non riuscirai a toccare le stelle, da piccolo credi che sia colpa della tua altezza, ma poi cresci e finché non ti dicono che stai crescendo c’è ancora speranza, ma poi diventi maturo e dei portatori di verità mascherati da adulti ti dicono che ormai sei maturo e questo sarà il tuo corpo. Fine. Ma com’era bello poter credere nella possibilità di un dubbio, nella ricerca delle forme tra le nuvole. Avevo quattro anni quando scendevo dal quarto piano della palazzina per incontrare gli amici del quartiere. Una palazzina stile sistema comunista, senza convenevoli e molto cemento. Ero figlia unica e soffrivo la mancanza di compagnia, ero la prima ad arrivare e l’ultima ad andarmene. Mia mamma mi chiamava zingara perché ero sempre fuori casa. Abitudine che mi sono portata anche in Italia del resto. Comunque quel pomeriggio ero andata a bussare a tutte le porte dei miei amici ma loro erano ancora lì a fare il loro pisolino, che poi che palle dormire il pomeriggio. Li aspettavo da sola seduta sul marciapiede. Credo che quelle attese abbiano sviluppato in me un’attitudine alla malinconia. Mi sono sdraiata indietro con i capelli tra la terra ma che strano non ci avevo nemmeno pensato, volevo solo appoggiarmi. Che strano che adesso se vuoi appoggiarti devi pulire la panchina e poi no perché la maglietta nuova e poi è bianca e poi magari si macchia. È stata la prima volta che sono venuta a contatto con il cielo da quel che ricordo. O almeno è il primo ricordo che ho del cielo. Papà era in Italia da qualche mese probabilmente perché mi aveva lasciata che avevo tre anni e ho questa sensazione che fosse stato non molto dopo, comunque l’inverno era passato e quindi dovevo avere quattro anni perché ricordo che avevo il completino azzurro con l’elefante quello che preferivo. Pensavo che era proprio triste che tutti avessero un fratello o una sorella e io non avevo neanche mio papà. Poi ho pensato che forse la nuvola che stavo guardando io la stava guardando anche lui, ma era impossibile perché mi avevano detto che lui era in Italia e figurarsi io mi immaginavo l’Italia su un altro pianeta rispetto al mio pianeta Pogradec. Poi ho notato che le nuvole si muovevano... Che tutto il cielo si muoveva... Una di quelle cose che ti fa talmente tanto emozionare che stai lacrimando e un po' te ne vergogni perché non capisci perché. La sera, come da tradizione, quando andavano via le luci e si accendevano le candele mio nonno mi raccontava delle storie. Non vedevo l’ora che andasse via la luce, saltellavo portavo la candela al nonno e si cominciava con una nuova storia. Quella sera ho mangiato in silenzio aspettando, mi ricordo tutto il chiacchiericcio di mia mamma, mia zia, mio zio e i miei nonni e io che non facevo che pensare che dovevo chiedere al nonno una storia sul cielo che si muoveva. Salti di gioia quando la città si spegneva e via con una storia. Il nonno si sedeva sempre sul divano e io rivolta a lui sul manico. “Nonno ma io oggi ho visto il cielo muoversi, si muove il cielo?” Così mi raccontò che in realtà era la terra a muoversi e le nuvole erano spostate dal vento probabilmente perché erano leggere come i miei capelli e quindi quando si muovevano i miei capelli si muovevano anche le nuvole. Quella sera la storia mi rapì completamente, ero stregata, si parlava di un pianeta cioè una palla molto grande dove, per una forza molto potente, tutti gli abitanti non scivolavano e potevano abitare anche in basso, anche perché il nonno mi disse che la palla si muoveva quindi ogni tanto il basso diventava l’alto e l’alto il basso quindi le parti si invertivano. Sempre. Solo adesso mi rendo conto che le storie di mio nonno erano sempre storie reali. Come quando mi raccontò di un essere umano che aveva scoperto che i suoi parenti erano delle scimmie “Ma scimmie pelose e con la coda?” Scimmie pelose con la coda. Avevo pianto dal ridere, che poi quest’uomo nella storia di mio nonno, era parecchio superbo e arrogante con i più poveri e credeva di essere il migliore di tutti perché poteva permettersi vestiti nuovi e cravatte quindi quando aveva scoperto che discendeva da una famiglia di scimmie c’era rimasto proprio male e ha cercato di inventarsi una famiglia più valida e gloriosa, si era inventato questo padre che faceva cose magiche e che con i suoi poteri era riuscito a conquistare una terra che poi era stata promessa ai figli, insomma tutte storie di eredità e ricompense, quelle mi annoiavano quindi poi gli ho chiesto se l’avessero mai smascherato, mi disse di no, che tutt’oggi va in giro dicendo che lui non deriva dalle scimmie, ma da uno con i superpoteri ma si capiva che era una balla, perché non sapeva nemmeno descriverlo questo padre perché diceva che era talmente forte che era solo luce. E invece derivava dalle scimmie mangiabanane e io me la ridevo di gusto. Continuavo a mettermi la mano sulla fronte e a ridere così tanto, mi ricordo che anche la nonna si era messa a ridere dicendo a mio nonno che era proprio stupido. E io credevo intendesse che era stupido l’uomo con la cravatta e invece se la rideva anche lei perché mio nonno mi raccontava storie vere. Mio nonno era comunista. Ma il sistema comunista era caduto e quelli erano anni molto delicati perché chi era stato comunista non era benvisto dalla società. Mio nonno lavorava in prefettura, a diretto contatto col partito, ma con l’ascesa al potere del partito democratico e in periodo strascicato di guerra civile lui era bistrattato e non poteva lavorare da nessuna parte.

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