1.
Sono una persona che giudica perché giudicare mi fa sentire meglio e dopo aver vomitato pensieri malvagi, mi sento meglio. Odio così tanto, odio e provo un desiderio di uccidere a volte, che solo io mi posso capire e accettare. Si insomma, solo io potrei accettare di me i pensieri che sforno, un’altra persona, una persona normale mi starebbe alla larga. Ma io non posso starmi lontano, ecco fatto, svelato l’arcano: mi devo accettare. Fine. Non è un processo così immediato in realtà, l’accettarsi intendo. Prevede, sapete, un tacito accordo di autenticità totale con se stessi. Io sono autentico con te, nel bene e nel male e tu in cambio non puoi che accettarmi. Ma poi adoriamo così tanto fare gli psicanalisti, come se poveracci non fossero che persone normali. Si fanno anni di università e noi invece, belli come il sole ci insuffliamo in un ingordo bagno di deduzioni psicanalitiche sentendoci veramente, no ma dico, noi ci sentiamo per davvero degli sciamani quando dobbiamo psicanalizzare qualcuno. Le donne poi, chi meglio delle donne riesce a costruire castelli di giustificazioni granulose pur di dare un significato coerente ai pali degli uomini. “Non mi ha voluta perché ha paura di una relazione seria, ho saputo che, dopo la sua ex storica, non ha più voluto una storia, ma sai, si vedeva che io gli piacevo e sarei anche stata disposta a liberarlo da questa sua prigionia agognante, ma se uno poi non si vuol far aiutare che devi fare, t’attacchi al treno. Così abbiamo chiuso, era troppo difficile stargli dietro” - “Ah ok, ho capito, beh dai meglio soli che mal accompagnati, piuttosto con le lezioni come va?” - “Ah poi non ti ho detto, mi ha detto che per lui si poteva anche rimanere amici, insomma voglio dire, mi dici che non vuoi impegnarti e poi mi dici che non ci sono problemi se ci vediamo in giro, ma a chi la vuoi dare a bere che saresti il primo a rimpiangermi, perché è questo che succederà: mi rimpiangerà: oh si, un’altra come me non la trova, guarda: io, da lui, di certo: non ci torno.”
Detta la sentenza, chiuso il caso. E invece no. No perché doveva ancora convincersi che non era lei la colpa, come se in questi casi dovesse per forza esserci una parte di colpa, doveva scagionarsi dalla possibilità che lei potesse non andare a genio a qualcuno. Ma perché star poi qui a giudicare lei, quando è la società, il sistema che non prevede i difetti. Devi essere speciale e aver sfondato, altrimenti non vali niente.
Sono una persona che giudica perché giudicare mi fa sentire meglio e dopo aver vomitato pensieri malvagi, mi sento meglio. Odio così tanto, odio e provo un desiderio di uccidere a volte, che solo io mi posso capire e accettare. Si insomma, solo io potrei accettare di me i pensieri che sforno, un’altra persona, una persona normale mi starebbe alla larga. Ma io non posso starmi lontano, ecco fatto, svelato l’arcano: mi devo accettare. Fine. Non è un processo così immediato in realtà, l’accettarsi intendo. Prevede, sapete, un tacito accordo di autenticità totale con se stessi. Io sono autentico con te, nel bene e nel male e tu in cambio non puoi che accettarmi. Ma poi adoriamo così tanto fare gli psicanalisti, come se poveracci non fossero che persone normali. Si fanno anni di università e noi invece, belli come il sole ci insuffliamo in un ingordo bagno di deduzioni psicanalitiche sentendoci veramente, no ma dico, noi ci sentiamo per davvero degli sciamani quando dobbiamo psicanalizzare qualcuno. Le donne poi, chi meglio delle donne riesce a costruire castelli di giustificazioni granulose pur di dare un significato coerente ai pali degli uomini. “Non mi ha voluta perché ha paura di una relazione seria, ho saputo che, dopo la sua ex storica, non ha più voluto una storia, ma sai, si vedeva che io gli piacevo e sarei anche stata disposta a liberarlo da questa sua prigionia agognante, ma se uno poi non si vuol far aiutare che devi fare, t’attacchi al treno. Così abbiamo chiuso, era troppo difficile stargli dietro” - “Ah ok, ho capito, beh dai meglio soli che mal accompagnati, piuttosto con le lezioni come va?” - “Ah poi non ti ho detto, mi ha detto che per lui si poteva anche rimanere amici, insomma voglio dire, mi dici che non vuoi impegnarti e poi mi dici che non ci sono problemi se ci vediamo in giro, ma a chi la vuoi dare a bere che saresti il primo a rimpiangermi, perché è questo che succederà: mi rimpiangerà: oh si, un’altra come me non la trova, guarda: io, da lui, di certo: non ci torno.”
Detta la sentenza, chiuso il caso. E invece no. No perché doveva ancora convincersi che non era lei la colpa, come se in questi casi dovesse per forza esserci una parte di colpa, doveva scagionarsi dalla possibilità che lei potesse non andare a genio a qualcuno. Ma perché star poi qui a giudicare lei, quando è la società, il sistema che non prevede i difetti. Devi essere speciale e aver sfondato, altrimenti non vali niente.
Come poteva accettare di non valere niente? É un pensiero un poco triste persino
per me. E come facevo a farle capire che sbagliava alla base, che non è vero che se
uno non è accettato allora non vale niente e quindi vale quanto il resto dei sette
miliardi e mezzo di persone sul pianeta e quindi non vale niente, che non è vero,
perché se siamo i primi a non trovare appassionanti tutte le persone del mondo, allora
sarebbe quantomeno democratico accettare il contrario, che se per una volta, due,
venti, qualcuno non ti caga forse vuol dire che non siete fatti per stare insieme perché
se una relazione, in quanto relazione, prevede l’interazione tra almeno due persone,
bisogna porca miseria essere almeno in due io credo! Per cui se a uno non piaccio
forse semplicemente si è accorto prima di me che la cosa “non s’ha da fare” (quanto è
abusata questa frase? mainstream proprio). Che se ne accorga prima lui o te non è la
stessa cosa? L’importante non è evitare di star male per una cosa evitabile? Si soffre
già abbastanza senza motivo, ma ragazzi veramente vogliamo crearci pare di ‘sta
minchia perché a un uomo non andiamo a genio? Ma se tutti gli uomini che
bidoniamo ragionassero da psicanalisti come reagiremmo? Che poi, le donne son
creature meravigliose, per abbandonarsi in selezioni anatomiche delle parole da usare
in modo da non passare per le disperate con l’ascoltatore, per anni e anni si
impratichiscono tra amiche, psicoanalizzandosi a due a due. Che mestiere
sottovalutato, la psicoanalisi salverà il mondo diceva qualcuno, o era la bellezza, non
ricordo, non importa, vi odio. Odio che siate così manchevoli, non sapete nemmeno
mentire più, siete pure commedianti di basso livello, pagliacci di trucco e pezzenti
senza autoironia. Mi schifa ogni tanto stare tra di voi. Perché sì ci sto tra di voi e dove
potrei mai andare! Mi bevo i vostri fottutissimi sorrisi ogni giorno e quanto, quanto,
quanto desidero non essere assertiva, per una volta almeno, quanto desidero che la
civiltà non mi avesse investito ventitré anni fa con i suoi rituali artefatti e la sua
musica di merda. Invece è dal 1992 che sono costretta a fare e dire quello che
vogliono gli altri. Di' mamma. Di’ ciao. Di’ grazie. Di’ vaffanculo .
Mi sono avvelenata abbastanza con questi pensieri, vado a bere. Mi ubriaco. Ubriacatevi anche voi moralisti implacabili “di vino o di poesia, ma ubriacatevi”.
Mi sono avvelenata abbastanza con questi pensieri, vado a bere. Mi ubriaco. Ubriacatevi anche voi moralisti implacabili “di vino o di poesia, ma ubriacatevi”.
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