mercoledì 1 aprile 2020

due


2.
Di base sono normale. Ma ci sono quelle giornate dove gli altri ti danno proprio l’urticaria e ti si rizzano i peli delle braccia. Che poi io me li faccio i peli delle braccia, perché un giorno non sapevo cosa fare e mi sono fatta i peli delle braccia. Dicono che “se te li fai una volta devi farteli per sempre! Perché poi crescono neri ed è un casino”.
A me veramente non sono mai cresciuti diversi, sono sempre loro e non sono nemmeno tanti quindi li riconosco proprio, ma ormai me li faccio “e li devo fare per sempre”. Che poi per sempre, ma per sempre cosa! Ma per sempre chi? La nostra stessa vita non è per sempre. La tranquillità con cui si utilizzano certi termini a sproposito è una di quelle cose che mi farebbe rizzare i peli delle braccia se li avessi. Non c’è nessun sempre non c’è nessun mai. E smettetela di recintare i pensieri con etichette del cazzo. I pensieri sono un vento impalpabile e voi lo volete imbottigliare a tutti i costi, con regole, regole, regole. Teoremi di uno sciamano vecchio decrepito. Morto. Ho provato a scrivere “come si deve scrivere” ma sono così stanca. Così stanca amici. Il senso del dovere dell’oppressione. Non possono più esserci doveri perché non ci sono più diritti. Quindi non venite qui a volermi infinocchiare con le vostre parole perfettamente belle, perfettamente giuste, perfettamente ricercate, ben ordinate, pettinate, costose, preziose, capitaliste. Non ci possono più essere generi perché non ci sono più barriere né confini. È un saggio questo? Dove sono le note? Non ci sono note del cazzo. Se voglio dirti qualcosa te la dico qui. Non ti faccio fare avanti indietro per spiegarti con tre formule decretate da autorità dubbie da dove ho preso spunto per una parola.

È inutile. Inutile. Inutile dirvi che se una cosa vi arriva vi arriva, se non vi arriva andate a farvi una sega. Io non so cosa dirvi ragazzi, io un po’ vi voglio bene a tratti eh. Nelle vostre ridicole insicurezze, nella vostra voglia convulsa di essere sempre al top. Che slang abusato poi questo “top”. Top top top top. Vi siete mai resi conto che a forza di ripetere una parola quella dopo un po’ perde di senso? Perché è un codice comunicativo preordinato, precotto, preparato. Come te. Sei un codice comunicativo sbagliato che si è scordato le sue origini, che disprezza se stesso, la sua natura di essere umano, che mistifica i suoi sentimenti, che veste la sua anima di pesi, che decora la propria vita con minuti vuoti e inconsistenti. Per questo amico mio mi fai schifo. Perché non sai vivere, ed è il più grande torto che potevi fare a te stesso. Dimenticarti di te, accantonarti e disimparare a vivere. In virtù di quali poteri mi sto arrogando il diritto di giudicarti? Il potere dell’empatia credo. Vorrei solo prenderti per mano, farti sentire quanto possono essere calde le dita di uno scrittore, di una persona che non teme la penna. Uno scrittore corre sempre il rischio di rimanere nudo sul palcoscenico. Nonostante i costumi, il parrucco, il trucco, il pubblico capirà sempre che sotto c’è un attore. E non temere quei due spettatori svegli è già tanto, è già un atto di coraggio.


DISCORSO DI UNO CHE PENSAVA DI AVERE RAGIONE
Che poi in linea generale se esponi un pensiero generalmente credi di avere ragione quindi questo “uno” è poi un qualcuno qualsiasi. Sapere di avere ragione infatti è diverso. Quando sai di aver ragione hai una certa amarezza e ti è molto più difficile dar voce a quel pensiero perché un po’ ti fa male. Perché in qualche modo sai che andresti a punzecchiare la lumaca che per istinto si ritrarrebbe in casa perché le cose certe non sai mai come prenderle. Sono definitive. Sono come la morte. E quindi non sai come, ma le rifuggi.

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