martedì 12 maggio 2020

quindici

15.
A me vedere i vecchi che mangiano fa schifo. Non so bene a cosa sia legato, ho questi ricordi di capelli bianchi e pelle rugosa e movimenti affaticati che ingoiano cibo a bocconi grandi e sbrodolanti che mi fanno schifo. In verità mi fa schifo vedere le persone mangiare senza cura in generale, ora che ci penso. Quando mio cugino abitava con noi e mangiavamo insieme mi schifava tantissimo non riuscivo a mangiare guardandolo, mischiava pasta con panna insalata e carne, tutto nello stesso piatto e si saturava di insalata quando aveva ancora la pasta in bocca ed era un immagine da vomitare. Mia mamma era più clemente e cercava di dirgli che era un modo molto strano di mangiare, ma lui non capiva che strano per mia madre ha sempre voluto dire modo di merda e lei, dopotutto non era suo figlio, non si permetteva di dirgli troppo altro. E’ stata una liberazione spaziale non averlo più a casa, mi è sempre stato sul cazzo, egoista falso approfittatore infimo con quel suo modo snob di giudicare tutti credendosi il re del mondo e mentre mangiava faceva schifo. Io gli ho sempre detto che non aveva una morosa, non perché lui non ne trovasse una adeguata, ma perché faceva vomitare a guardarlo mangiare e chiunque se ne sarebbe allontanato. La punta di senso di colpa che mi è venuta adesso è solo verso sua madre, mia zia morta qualche anno fa, quando tornavamo in Albania in estate lei mi faceva dare l’acqua ai suoi fiori e lei teneva molto ai fiori e io non l’ho mai potuta ringraziare per avermi offerto questo spazio nel suo spazio. Suo padre mi schifa tanto quanto lui, è sempre stato un provocatore e un viscido e un corrotto. Ad ogni modo adesso mi schifa un po’ mio padre quando mangia perché a forza di stare a casa è diventato molle e questa cosa mi schifa. E non sopporto vederlo mangiare senza ritegno il suo piatto di pasta senza che si sia nemmeno chiesto se aveva fame. Sento che si lascia vivere. Sento che è stanco e non lo sopporto. Non sopporto i deboli. E non sopporto questa situazione perché non riesco a digerirlo, non riesco a dirglielo. A mio cugino riuscivo. A mio padre non riesco a dirgli che schifo mangia meglio per favore o vaffanculo vi odio che schifo sei vecchio. Non riesco perché ho paura che la prenda male? Non penso. Lui ha sempre risposto alle mie frecciate, anzi sembrava proprio che la mia opzione l’avesse sempre trapassato come una battuta di spirito o se intelligente, come una frase semplicemente giusta. lo vorrei più reattivo.

E’ tornato oggi dalla radio metabolica e gli hanno detto che tutti i parametri erano a posto, ma allora perché non sei vivo? E’ stanco. Dorme sempre. Mi sembra stia diventando un peso e basta. E fa male pensare che a un certo punto i genitori diventano un peso perché in realtà sono i figli ad essere un peso e così deve essere, cosi voglio rimanere. Voglio essere la loro rottura di coglioni pesante per sempre. Non è vero. Non lo voglio. Voglio solo che torni a vivere. Voglio che torni a mangiare perché ha fame e solo se ha fame, che prenda di nuovo le direttive della sua nave e non faccia il passeggero. Mi fa paura vedere la sua paura. Lui non ha mai paura. Lui ha sempre saputo cosa fare. Ha affrontato situazioni enormi, a trentatré anni passare l’Adriatico su una barca piena di anime ad aspettare chissà quale Caronte sull’altra sponda senza nessuna sicurezza, ma solo sapendo di aver lasciato la moglie, una donna che conosci da tre anni e che vorresti continuare a conoscere per sempre e tua figlia e buttarsi in mare a petto di notte senza sapere nulla. Noi siamo un miracolo. Ha risalito l’Italia fino a Rimini con trasporti che non conosceva che non aveva mai visto, in Albania non passavano informazioni dal mondo esterno se non filtrate dalla televisione che teatralizza e glorifica i sogni e non sapevano niente, aveva solo il foglietto con il nome di un’amica di mia mamma che abitava a Rimini e lui andava a Rimini non sapendo niente di questo Rimini e ne è venuto a capo e ha vissuto con niente per sei mesi razionando il cibo e facendo lavori in nero finche è riuscito ad ottenere i documenti e far venire anche mia mamma. È riuscito in noi. È riuscito in situazioni inimmaginabili. Perché non se lo ricorda? Quanti trentenni come lui sono in giro a squattrinare soldi dei genitori come piccoli incapaci lombrichi senza una meta, quanti trentenni si sono persi in quel tragitto lasciando perdere le famiglie e andando al primo night club che trovavano, quanti hanno preferito la libertà delle prostitute e del vizio alla libertà della felicità, lui è stato l’uomo più coraggioso che io conosca. Non so cosa succede ora. Fuori fa molto caldo e a me gira la testa. Devo andare a litigare per le tasse universitarie.




sabato 18 aprile 2020

quattordici

14.
Ti piacerebbe che io fossi io e che tu fossi tu. Il tavolo sta fermo come un tavolo che sta fermo, c’è un tavolo e c’è che sta fermo e basta. E l’anima palpita in gola perché sta li e incombe come una tremenda pietra di paragone, sanguinante strumento di una rinnovata comunione. E precipiti in piena sindrome di afasia. Forse sono solo un eroe sadico che gode molto di più nelle parole che nell’azione. Siamo mai stati utili davvero? A chi è mai stata veramente utile la letteratura e ora come possiamo esserlo. A chi. Non fai niente, ma mi travolgi, mi guardi e mi investi, di tensione. C’è qualcosa di strano e di confuso che forse è meglio non disvelare a questo mondo, non risvegliare, teniamolo nel nostro. Teniamolo nel nostro. Questo mostro.

tredici

13.

THANATOS

Vorrei ucciderti.
Affondare le dita sulle tue spalle
serrarti al petto nudo
per sentire la carne sulla carne
e strapparti via ogni cosa ogni intreccio
di gambe una rincorsa alla materia, nascondere il mio volto tra i capelli e spingerti sotto,
spingerti con tutta la tensione muscolare possibile
e spingerti e tenerti in pugno
e bloccarti i polsi in un attimo di asfissia
e vedere i miei occhi
e senz'aria nei tuoi occhi godere
senza tempo in un istante di oblio.

dodici

12.

CASO DI CRONACA NERA

La senti?
L'arsura ribelle
Ribolle randagio
Un orso nella radura
Assetato di sangria
In una Spagna senza valori
Avvalorata (affocata) dal fuoco(caldo)di agosto Una preda inciampa
La mano le radici, inciampa
La carne corrosa (commossa), inciampa
Lui la afferra (serra al petto)
E tu rimani?






undici

11.
Il mondo non mi merita. Sono sempre più profondamente coinvolta in situazioni che non meritano la mia capacità di giudizio. È troppo. E voi siete troppo poco. Perdete tempo a rincorrere persone che non vi danno niente. Sempre più convinti che siano loro a meritare le vostre attenzioni. Sadici. Rincorrere chi non vi ha dato niente per sentire del male, per sentire qualcosa. Non sapete amarvi. Non sapete volervi bene. E riconsegnare bene a chi ve ne dà. Come se il bene fosse tutto dovuto. E poi a idolatrare il bene a parole, quando a gesti vi compiacete di seguire miraggi. La verità è che non vi stimate. La mancanza di autostima vi porta a cercare chi pensate di meritare e pensando di valere zero cercate zero. E vi stupite di trovare zero. Oppure cercate meno uno perché solo meno uno può ammirare uno zero come voi. E lasciate gli altri, quelli che vi curano, a fare e basta. A fare e basta. Ingrati falsi e bugiardi. Mi fate schifo e mi schifa il vostro modo di cullarvi nelle idee di bellezza e bene, mentre nei fatti fate schifo. E piangete per le mancate attenzioni di chi non se lo merita perché godete nello star male. E ignorate chi vi ha curato le ferite mettendo da parte la propria vita per voi. E pretendete e basta. Invece di pensare a ripagare quel bene. E quindi produrne altro e cercare uno spiraglio di positività e luce. Almeno una scia in mezzo a questa merda fetida e madida che si spalma su ogni giornata anche senza le vostre sovrastrutture del cazzo. Almeno una ferita di luce in questa stanza buia. Ma è più facile stare male come voi. È più facile creasi dei piccoli dolori del cazzo. Fa male invece sapere che c'è un male che non andrà mai via perché è l’umanità, è la vita. La vita è ignoranza pura. Non sai neanche perché sei vivo. E questo fa male. Non fa male non essere cagati da una persona che pensavi ti potesse piacere. Quelle sono solo circostanze o gusti. Quindi sì. Voi siete deboli e decidete di stare male per questo. E io vi schifo e vi invidio perché vorrei fare altrettanto e invece le mie radici prendono nutrimento da mali perenni senza risoluzione. Tutti i giorni. Senza fine.

martedì 14 aprile 2020

dieci

10.
EFFETTO MAGNUS

Mi sono messa la solita
voglia di vivere a plissè
e una polo del cazzo bianca, 

come la mia vita senza macchie 
tutta pulita.

Polita e smussata da ogni frizione,
i calzini di spugna con i capelli lisci di una messa in piega scaduta 

ma chi ha voglia di lavarsi.
Nessun detergente
lava via la malinconia,


la noia e chi ha voglia di lavarsi via
questa agonia che tanto torna sempre.
E quindi cosa vale? Che vale

lavarsi la tristezza quando
tu sei su un treno e il mondo fuori è lento 

talmente lento che non riesci a coglierlo. 

Accogli solo quello che va veloce come te 
e fa un po' schifo.
Le cose veloci finiscono così presto
e fa un po' schifo, non ti rimane niente 

nemmeno un ricordo
e invece ricordi quello che andava piano. 

Fuori dalla tua portata
dalla tua finestra
gli alberi in fila la terra.

In fila e aveva senso
aveva un senso amaro
Ma lontano! 
E
mi sento lontano

Sono sempre lontano.
Ci sono dieci occhi e una racchetta.



nove

9.
Trovo una certa difficoltà a disciplinare la mia insoddisfazione. Ho sempre creduto che l’insoddisfazione nascesse da un’autostima eccessiva. Nel momento in cui accetti i tuoi stessi limiti, cominci ad accettare anche quelli degli altri. Fondamentalmente non puoi fare altrimenti. Se veramente hai accettato i tuoi limiti vuol dire che in qualche modo hai pure saputo giustificarli, razionalizzarli, da lì il passo è breve. Anche i limiti altrui diventano sormontabili. Io conosco qualche mio limite e ho imparato a giustificarli piuttosto bene, ora quello che non riesco a fare è il passo successivo. Riesco a giustificare gli altri solo se hanno il mio medesimo limite. Ma identico. Altrimenti non so bene come fare. Questa cosa, per esempio, che tutti gli uomini guardino i porno, non so, io non guardo i porno. Io stessa uso immagini maschili dalle più svariate per convogliare il mio piacere, quindi non è che non li capisca, ma i porno. Non so, la sento come una mancanza di fantasia. O forse sto solo cercando di sublimarmi. È un territorio totalmente inesplorato per me, ma è un totale tabù cercare di capire la dinamica. È una sfera talmente privata che anche solo per esaudire una curiosità la gente non riesce a spiegarmi come funzioni.
È un rito credo. I riti sono sempre qualcosa di sacro e inviolabile e un po’ è giusto che ciascuno si tenga segreto il proprio rito. Il rito è un ritorno e un riconoscimento, e un piacere del riconoscimento non può che produrre altro piacere. Quando ti trovi nel mezzo di un rito che non conosci ti senti perso, perché non solo per te non è ancora un rito e non lo riconosci, ma perché il rito non viene spiegato, il rito lo senti e basta. Sono salita su un autobus l’altro giorno per andare a Rivalta ai colloqui con gli insegnanti di mio fratello. Ho preso questo 6 Rivalta-Locanda e non prendevo un mezzo pubblico da qualche tempo. Adesso si possono fare i biglietti in loco e costano un euro e cinquanta. Il milieu mi sembrava lo stesso e mi sono sentita un po’ sollevata. Poi niente, sono arrivati questi due bambini indiani e hanno cominciato a picchiare le mani sulle mie gambe. La ragazza madre al telefono si è voltata giusto un attimo per dire loro qualcosa in sciamanico e rivoltarsi dall’altra parte per continuare la telefonata. Loro mi picchiavano e io non sapevo bene cosa fare, sono rimasta attonita, impassibile alla violenza, mi è sembrato fosse un rito di iniziazione un gesto ancestrale al quale non potevo esimermi una volta sull’autobus e mi sono sentita un po’ straniera di nuovo. Ho continuato a guardare i bambini che mi pizzicavano e non riuscivo ad avere reazioni di fronte a tanta ispirazione originaria. Ero nel loro territorio. Loro sapevano come comportarsi, tutti lo sapevano. Mi sono sentita una stupida, imborghesita nella mia maglietta con scritto “honolulu”. Loro avrebbero reagito, io invece li studiavo come se fossi fuori dal finestrino e invece ero dentro. Una signora di fianco scuoteva la testa indignata della madre al telefono e schifava i bambini, lei aveva un ruolo, lei sapeva come reagire, lei faceva parte del rito. Merda io no. Mi domando cosa farei se mi ricapitasse. Perché nemmeno una seconda volta basterebbe per fare diventare quel rito mio. Dovrei cominciare a prendere gli autobus e cercarmi un ruolo. Così ero solo un passeggero. Un passeggero provvisorio, senza sostanza senza carattere, un personaggio in cerca di un autore, di un ruolo. Non ero a disagio, solo non avevo senso. Non che nella mia quotidianità io abbia sempre un senso, ma comunque un ruolo in diverse situazioni me lo sono creata, uno straccio di ruolo su cui poter improvvisare. Lì eravamo in un Eden primordiale e mi ha ricordato il bambino kossovaro che mi aveva rubato il cuscino in Albania. Non me l’ha proprio rubato in realtà ma rimane il fatto che il suo possesso fosse illegittimo. Abbiamo ospitato una famiglia di kossovari in fuga della guerra per qualche mese e il mio cuscino era andato a lui e sentivo che poteva rubarmi i sogni e questo mi spaventava perché avrebbe scoperto il mio rito. Non ho ricordi di quel periodo se non lui. Lo spiavo, non ci ho mai parlato, ma lo spiavo, non ho mai rivendicato il mio cuscino, ma lo spiavo, dalla cucina, lo spiavo, mentre si metteva i calzini rammendati ai talloni, lo spiavo, quando si appoggiava sul muretto in corridoio, io andavo nella camera dei miei nonni per poterlo vedere senza essere vista, lo spiavo, la maglietta a righe verdi e viola era la sua preferita credo, lo spiavo e quando usciva di casa andavo alla porta, mi si fermava il respiro e lo perdevo di vista. Non ricordo nient'altro di quel periodo. Solo lui e il mio cuscino rubato e io passiva a questa violazione. Poi un giorno mi sono svegliata con il mio cuscino e il bambino non l’ho più visto. In seguito alla tv c’erano solo spari macerie e bambini senza calzini e pensavo che almeno lui i calzini li aveva. Mi sentivo triste perché io ne avevo tanti. Almeno cinque più due di lana, un paio azzurri e un paio rosa fatti da mia nonna. Lui era venuto in estate o primavera e non aveva i calzini di lana perché non ce n’era bisogno. Comunque era riuscito a farmi sentire in casa d’altri a casa mia e non glielo perdonerò mai. E non è più tornato. Un rito mancato...